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Abitare l’incompiutezza. Sul senso di non sentirsi mai “pronti”

  • Immagine del redattore: Paolo
    Paolo
  • 16 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 20 giu

Accettare l’incompiutezza e vivere l’evoluzione personale

Ci sono momenti in cui ci si sente “inadeguati”.

Come se tutti avessero capito qualcosa che a te ancora sfugge.

Ti guardi allo specchio e pensi:


“Dovrei essere già pronto, già realizzato, già… altro.”

Ma cosa succede se ti dicessero che nessuno è davvero “completo”?

E che anzi, è nella nostra incompiutezza che abita il potenziale più autentico del cambiamento?

 


🌀Cosa vuol dire "non sentirsi pronti": la nostra condizione embrionale

Siamo abituati a pensare che diventare adulti significhi “compiersi”.

Come se ci fosse un momento in cui tutto è a posto, chiaro, definito.


Ma i fondamenti della "psicosocioanalisi" ci indicano qualcosa di diverso:

l’essere umano è un animale “neotenico” — conserva per tutta la vita i tratti della propria fase evolutiva iniziale.


Siamo esseri in continua trasformazione. Non ci “completiamo”. Ci aggiustiamo, riformuliamo, ripartiamo.



🔄 Counseling e ambientamento: non si tratta solo di capire, ma di stare


Nel counseling si lavora con persone che arrivano con una domanda non ancora formulata.

A volte parlano del lavoro, di una relazione, di un cambiamento. Ma sotto, spesso c’è un vissuto comune:


“Mi sento fuori posto”
“Non sono all’altezza"
“Non so cosa voglio, ma so che così non va bene"

Il percorso di consulenza non è una risposta pronta.

È uno spazio per abitare l’incompiutezza, per darle forma, per permettere all’impensabile di diventare pensabile.



🌫️ E se fosse proprio l’imprevedibilità il punto di partenza?

Ci hanno insegnato a temere ciò che non possiamo controllare.

A vivere l’imprevisto come errore, il dubbio come debolezza.


Ma anni di studio ci hanno mostrato che:


  • Il rischio è parte della relazione (anche professionale);

  • L’imprevedibilità è inevitabile e va gestita con presenza, non con difesa;

  • L’unico modo per orientarsi davvero è imparare a nominare ciò che si muove dentro.



🧠 Non serve una soluzione, serve una postura

Come diceva Donald Schön, la riflessività non è introspezione.

È un’azione viva, situata, relazionale.

È imparare a guardare mentre si agisce.


In counseling, questa postura si allena.

Si impara a dire:


“Non so ancora dove sto andando. Ma so che questo sentire ha un senso.”

 

🌱 Conclusione

Non devi essere pronto.

Non è obbligatorio sentirsi pronti

Non devi avere tutte le risposte.

Non devi “funzionare”.


Puoi essere in transizione. In movimento. In ricerca.

Puoi essere incompleto. E può andare bene così.


👉 Se ti stai sentendo “non ancora pronto”, forse è il momento di esplorare questo → [“Non riesco nemmeno a iniziare.” Quando il primo passo sembra impossibile.]


Avatar di Paolo, counselor che accoglie l’incompiutezza e l’attesa

Forse è proprio l’incompiutezza a renderci vivi, in cammino.


💬 Se vuoi conoscere qualcosa di me puoi leggere la pagina [Chi Sono].

🟡 Se questo testo ha toccato qualcosa in te, sentiti liberə di scrivermi qui in chat!


Con gratitudine! Paolo


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✨Questo blog fa parte di SecondaTappa, lo spazio di counseling online pensato per chi attraversa momenti di passaggio, scelte difficili o confusione interiore.
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